Sezione: Rugby
La terza deve morire
Quando ho cominciato a giocare a rugby non ci capivon iente. Non avevo idea né di come funzionasse né di cosa cifosse in mezzo a quel prato, eccezione fatta per una palla ovale e un gruppo di energumeni ben decisi a farsi la pelle l'un l'altro. A gruppi di quindici. Così, un paio di settimane di allenamento, qualche livido qua e là e cominciai a capire come gira il mondo ovale. Gira bene, le prime volte, specie se, come me, ti trovi in ungruppo di neofiti. Le prime volte hai paura, poi, quando capisciche l'unica maniera di farsi male è quando tu arrivi morbido e l'altro arriva duro, subentra l'incoscienza. Ti butti in scontri al limite del suicidio solo per dimostrare che puoi farlo. E intanto il tempo passa, cominci ad abituarti a passare la palla all'indietro e cominci, sopratutto, adabituarti al fatto che, quando hai la palla in mano, tutti vogliono te, nemmeno tu fossi Miss Italia. Quando ho iniziato a capirci qualcosa ho chiesto all'allenatore che ruolo fossi, in allenamento facevo qualchevolta la seconda, qualche volta la terza, una volta anche iltallonatore. Ma sempre in mischia (e tanto mi bastava). Poi la fulminazione: sei una terza. E cosa fa la terza? La terza linea è un predatore, unmagnifico rapace che vola sui campi da rugby, un animaleche può solo uccidere per vivere. Deve fare tutto, placcarecon impatti tremendi, correre dietro a quei fighetti deitrequarti perché se cade la palla il recupero è compito suo,arrivare sulle ruck come un missile contro piloni che sono 40 chili più di lui. E spingerli indietro. Dopo i primi allenamenti "mirati" da terza linea erosemplicemente devastato. Correvo come un forsennato,placcavo, sputavo i polmoni e, nonostante tutto ciò, molte volte non arrivavo dove dovevo. Così chiesi consiglio ad un"grande vecchio" della società, gli chiesi come potevo fare per riuscire in tutto quello che mi veniva chiesto, correre dappertutto, passare, placcare, bucare a velocità folli: sono troppo grosso per fare questo lavoro, ma sono troppo piccoloper non farlo. Qualcuno deve farlo. Il mio interlocutore alzò gli occhi con espressione tranquilla e, come se fosse ovvio, rispose "La terza deve morire". Adesso capisco. Non capivo prima, ma adesso... è semplice. Devi morire. Devi lasciare tutto quello che hai sul campo. Devi arrivare alla fine della partita in condizioni tali da dover essere portato a braccia negli spogliatoi. E' il sacrificio supremo per il bene dei compagni. Devi morire perchè altrimenti non avrai fatto bene quello sporco, divertente, massacrante, gratificante lavoro. Quella frase ha cambiato il mio modo di giocare a rugby.Non c'è miglior guerriero di quello a cui non importa divivere o morire. Questo non significa andarsele a cercare, ma il passo in più quando pensi di essere finito, l'ultimo passaggio prima dicadere a terra dopo un placcaggio, sostenere un compagno fino alla fine, anche quando ti sta per scoppiare il cuore, sono cose che fanno la differenza. E ho capito anche un'altra cosa: non solo devi morire, ma iltuo ultimo respiro serve a dare la palla al compagno.
Pubblicato sul N.4 del Giornalino di Rugby.it
Moro - 18/09/2007
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